Lettera familiare della Casa sul Pozzo 88

Luglio 2022

Carissimi,

nel chiudere questa lettera di fine mese non posso non scrivere il nome di Alika Ogorchukwu, il papà nigeriano di 39 anni ucciso a Civitanova Marche.

Siamo tutti custodi della vita di Alika; non ci siamo voltati dall’altra parte, abbiamo filmato i quattro minuti di tragedia e non ci siamo mossi.

La magia del jazz.

Raccolgo un evento che si è realizzato alla Casa sul Pozzo il 23 luglio. La Casa ha ospitato nella sua corte un concerto di musica jazz, proposto dal Comune di Lecco. Vi hanno partecipato una cinquantina di persone. Un concerto veramente bello.

Perché richiamo questo evento? Per quello che nella vita mi ha sempre affascinato tra due modelli musicali: orchestra e jazz. Quello che scriverò ora è molto esplicativo ma è per farmi capire.

L’orchestra funziona con dei musicisti guidati da un direttore, uno spartito scritto, al quale obbedire. Il direttore coordina e rende comprensibile e godibile quello che ha dettato l’autore.

Il jazz punta sull’autonomia dei musicisti che dialogano tra loro, si ascoltano per riprendere e rigenerare il motivo musicale. C’è una base musicale che traccia la continuità, suggerisce gli spunti, riporta al dettato melodico e garantisce la non fuoriuscita dal perimetro.

I musicisti dialogano tra di loro. Nessuno vuole sopraffare l’altro ma contempla la sua voce e ne suggerisce il colore.

Il risultato finale è sentire la vita che si trasforma e diventa suono, colore, bellezza, forza e rabbia, dolcezza.

Nel fascino di questa musica ho sempre pensato alla vita delle case, delle comunità, dei gruppi territoriali.

Ci vuole una professionalità “artigianale” alta che ci fa stare da soli, ci fa ascoltare in profondità l’altro, ci fa trovare le parole e il colore per rispondere.

Bisogna imparare tanto ad ascoltare l’altro.

Sto applicando questo genere al cammino di ricomprensione e progettazione della mia vita personale e di quella della Casa nella quale abito.

C’è stato un lavoro intenso sul progetto che abbiamo chiamato crossing. Tutti, in modi e tempi diversi ci siamo interrogati, coordinati da Emanuela Pizzardi, Giuseppe Colombo e Renata Menaballi.

In questo mese si è chiuso il ciclo di lavoro area 15/16 fatto con la Cooperativa Sineresi. Abbiamo vissuto una collaborazione di oltre tre anni. Si stanno trovando nuovi modi per rendere fruibili delle collaborazioni.

Quello che imparo da questa vicenda è che non si può vivere ripetendo schemi, magari con qualche piccolo aggiornamento. Questo richiede un lavoro intenso, personale di contemplazione dei giovani e del loro mondo e chiederci quale sogno ho su ognuno di loro e sul loro futuro.

Pensare alle nostre vite e a quelle delle case che abitiamo come un’occasione storica per tradurre una vita fraterna e utile.

Un percorso molto simile lo dovrò vivere nella prossima settimana (dall’1 all’8 agosto) con la mia Comunità religiosa di appartenenza: i missionari clarettiani. A Vic, in provincia di Barcellona, vivremo il primo capitolo provinciale che comporta anche l’elezione diretta del gruppo che si farà carico di accompagnare le vite dei Clarettiani presenti in Italia, Francia, Catalogna e Paesi Baschi.

C’è un testo di un economista italiano, Luigino Bruni, che mi ha molto colpito in questo tempo; lo riporto perché è fonte di orientamento bello e forte.

“Oggi possiamo dire quasi con certezza che Gesù iniziò la sua attività all’interno del movimento di Giovanni Battista, dove restò per un periodo non breve (mesi, forse anni). Gesù non era solo uno dei molti battezzati dal Battista, era anche un battezzatore (Gv 3,22-24). E diversamente da quanto avveniva nella contemporanea comunità essena stanziale di Qumran presso il Mar Morto (di cui ci è pervenuta la Regola), costruita attorno a norme di vita comune molto precise e strette, il movimento di Giovanni era una realtà fluida, nomade, provvisoria, dove le persone venivano e andavano senza una vera e propria vita in comune. Chi si avvicinava al Battista si preparava al battesimo e una volta battezzato iniziava una vita nuova nel suo ambiente, o altrove. Il battesimo lo liberava per spiccare il suo proprio volo libero.
Quando nei primi secoli cristiani iniziarono a fiorire i monasteri, questi imitarono Qumran (magari senza conoscerlo), non il movimento del Battista, né quello dei primi decenni cristiani. Chi entrava in un monastero diventava membro di una istituzione grazie a un vincolo molto forte di appartenenza. Si legava corto, molto corto. Secoli dopo nacque il movimento francescano, e realizzò qualcosa di radicalmente diverso dal monachesimo: non una vita comunitaria residenziale ma mendicante, non la centralità della regola ma della “forma di vita”. Francesco e i suoi compagni somigliavano moltissimo a Gesù, ma somigliavano molto anche al Battista. I frati non erano monaci più semplici e poveri: erano qualcosa di nuovo e di diverso. Nessuno, all’inizio, confondeva le loro comunità coi monasteri, era impossibile.”
Ho riportato questo testo, anche se semplifica troppo una realtà complessa; Il monachesimo è molto variegato e si può dire anche ciò che sosteneva Dossetti: “Un monaco non pretende aggiungere nulla a ciò che è comune a tutti i cristiani”. Così come Francesco dice nella Regola che la vita del frate è il Vangelo. Però mi pare può aiutarci a vivere questa trasformazione.

Dico alcune attenzioni che mi preme ricordare.

Siamo chiamati a camminare tra gli uomini ma il loro grido non è tradotto nelle nostre assemblee.

Ci progettiamo a partire da noi, ma il grido normalmente ci delocalizza.

Tutti abbiamo l’esperienza di poter vivere i nostri giorni grazie alla dedizione di donne e uomini che si prendono cura del Vangelo e dei suoi servitori; ma non abbiamo riconosciuto le loro parole. Ci inginocchiamo anche a lavare i loro piedi ma facciamo più fatica a sederci a tavola insieme. Siamo così umili da servire ma non da metterci a tavola con loro.

Per questo le nostre parole più frequenti sono in ordine all’appartenenza che ci fa corpo piuttosto che al riconoscimento reciproco che ci fa fratelli.

C’è un pensiero di papa Francesco nell’omelia della festa del Corpus Domini: seguire l’uomo della brocca d’acqua.  È contenuto e metodo.

Per chiudere raccolgo alcuni nomi:

Attilio Rho. Lo abbiamo accompagnato nei primi giorni di giugno. È stata una figura carissima a tutti gli abitanti la casa assieme a sua moglie. Il suo racconto trasparente e chiaro, lo spirito di servizio, la lunga militanza come allenatore sportivo ha trasmesso un senso del bello, dell’efficienza, della serietà nelle cose che ha riempito i nostri giorni.  

Mariella Poli. Voglio ricordare il suo nome. L’ho pensata come il pane buono che ha nutrito tante persone. Si è sempre fatta carico della vita degli altri.

Altre due donne abbiamo accompagnato in questo mese: le mamme di Isa e Orsola e di Franca e Antonietta Corti. Negli ultimi giorni ci ha lasciato Antonella, sorella di Giampiero Colombo.

Spero che tutti abbiate avuto la possibilità di vedere i due video curati da Carlo Limonta sulla Cena della Fraternità universale. Li potete vedere entrando nel sito della Comunità di Via Gaggio.