Lettera familiare della Casa sul Pozzo 58

30 novembre 2019

Care Amiche ed Amici,

stiamo camminando con pazienza verso il Natale, con un invito ad essere svegli e vigilanti, a scrutare i segni di speranza nel quotidiano personale e degli uomini. Abbiamo nel cuore i sentimenti che papa Francesco ha espresso nel suo viaggio in Giappone ad Hiroshima e che riprendo all’inizio di questa comunicazione mensile.

“Vieni, Signore, che si fa sera, e dove abbondò la distruzione possa oggi sovrabbondare la speranza che è possibile scrivere e realizzare una storia diversa. Vieni Signore, Principe della pace, rendici strumenti e riflessi della tua pace!.  Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: Su di te sia pace!” (Sal 122,8).

Ripercorro in cronaca alcuni degli eventi che hanno attraversato la vita della casa.

Tre intensi lunedì sera con Marco Vincenzi, Massimo Campedelli, Usama El Santawy. La formula del costruire insieme sta producendo dei tratti di pensiero e di metodo comuni.

Una serata con i giovani di Belledo sul tema della globalizzazione e di come essere oggi nel mondo; una giornata di ritiro con una cinquantina di coppie dell’équipe di Notre Dame sullo sperimentarsi in debito di amore;

L’iniziativa del Cambioarmadio  ha compiuto dieci anni e mi commuove pensare alla trasformazione avvenuta nel gruppo di donne giovani che lo promuovono, lo curano e lo realizzano. E’ un circuito di economie solidali ma soprattutto di fraternità umana attraverso il baratto di indumenti per bambini da 0 a 10 anni. A presto sarà pronto il filmato realizzato, sempre con uno sguardo intelligente, da Carlo Limonta. Abbiamo aperto  il mercatino, che ha coinvolto oltre 230 famiglie, una conversazione con Silvia Negri e Laura Todde.

Alcuni lutti nel mondo degli amici: il cappuccino padre Giulio Pasquini, nostro tenero amico, il clarettiano Antonio Stolfi, Fedora, la mamma di Emanuela Pizzardi, nostra amica.   

Come clarettiani ci siamo ritrovati a Roma piazza Euclide per il 4×4. Nei giorni seguenti, nel weekend 15/17, si è realizzato un intenso laboratorio di riflessologia plantare al quale hanno preso parte in sedici ed è stato diretto  dall’indiano Vincent Anes con la collaborazione di sr Doroty;   

Annoto anche la presentazionea Mascari5 del libro di Marco Bassani sulla sua esperienza in Brasile; la visita del viceministro Buffagni per i progetti Batti il cinque! e Post.it; la cena proposta ai partecipanti all’itinerario realizzato in Romania. Un regalo la serata con Goffredo Fofi. Nello stesso giorno a Montesole (Marzabotto) un dialogo  con fra Ignazio De Francesco del gruppo spiritualità . 

In tutto il mese si è promosso il Calendario 2020 dedicato ad Antonio Maria Claret del quale ricorrono i 150 anni dalla morte il 24 ottobre del 2020.

Sulle attività di formazione darò conto nella lettera di fine anno.

Do spazio ora alla notizia della civica benemerenza decretata ad Emilia Spreafico in Negri, la “nonna” della Casa sul Pozzo.

Alla notizia, che ci riempie di gioia, allego la scheda redatta per significare e motivare la sua azione.

EMILIA SPREAFICO

“Una vita all’altezza degli occhi”. Quest’immagine può motivare meglio di lunghe spiegazioni il perché Emilia Spreafico, anni 81, meriti la benemerenza civica del Comune di Lecco.

Non c’è niente di eccezionale nella vita di Emilia: si è fatta una famiglia, ha lavorato come infermiera, fin da adolescente si è impegnata attivamente per la comunità. Tutte cose che molte altre persone della sua generazione hanno fatto. Ciò che è fuori dal comune – dal “buon senso comune” – è piuttosto come Emilia ha vissuto e vive le sue scelte: senza alzare lo sguardo verso l’alto alla ricerca di una perfezione ideale, lamentandosi delle cose che non vanno sempre per colpa di qualcun altro, e senza abbassare lo sguardo per evitare di farsi toccare e coinvolgere da chi è vicino.

La prima ad accorgersi di questa dote è stata la piccola Eleonora, che l’ha presentata al papà e al fratellino. Così Emilia, ventenne, si è fatta una famiglia, non perché l’avesse progettato o sognato (in realtà avrebbe voluto farsi suora per fare del bene agli altri), ma perché una famiglia l’ha scelta. Oggi racconta divertita il grande beneficio derivato da questa decisione sia per sé stessa sia per l’istituto religioso dove aveva fatto domanda. Emilia è un tutt’uno con la sua famiglia, non solo con quella formata dal marito Sergio e dai figli Eleonora, Ruben e Paolo, ma anche con i suoi genitori, nonni, fratelli, cognate, nipoti. È raro sentirla parlare di sé senza che nomini qualche suo famigliare. In particolare, ha lasciato in lei un vero e proprio imprinting l’esempio della nonna e della mamma, donne di fede semplice, profonda e soprattutto concreta. Per Emilia il posto alla tavola della domenica per il povero, al quale la mamma riservava il boccone migliore, non era il tema per un racconto edificante ma l’incontro con una persona in carne e ossa. Dal padre ha invece ereditato – si direbbe con un termine oggi emergente – la capacità di resilienza che le ha permesso di affrontare le prove più dure con fiducia nel bene, senso dell’umorismo, cogliendo il lato positivo.

L’impegno per la comunità e l’interesse per la vita sociale e politica sono una costante della vita di Emilia. ll papà aveva l’abitudine di leggere il giornale ai figli e li incoraggiava a informarsi, a conoscere, a darsi da fare. In particolare per Emilia è forte il legame con la comunità parrocchiale di Belledo, quartiere dove la famiglia si trasferisce nel 1950. È animatrice nella comunità parrocchiale con bambini, adulti, anziani. È fiera di avere collaborato negli anni Settanta con il parroco don Ernesto Casiraghi a dar vita al “Focolare”, esperienza innovativa per i tempi, per l’accoglienza temporanea di persone anziane.

Dopo l’esperienza di un ricovero ospedaliero, Emilia, diciottenne, si licenzia dalla fabbrica e decide di frequentare a Bergamo la scuola infermieri, scelta controcorrente per una donna in quei tempi, che però corrisponde in pieno al suo desiderio di essere utile agli altri. Essere infermiera significa infatti stare accanto alle persone e ai loro familiari nel momento di maggiore fragilità, quello della malattia. Impara così a prendersi a cura, ad ascoltare, a incoraggiare, a consolare e ad accompagnare alla morte. Tra le professioni, Emilia sceglie quella che più di tutte mette quotidianamente in contatto con i “fondamentali” della vita di tutti: la gioia per la guarigione, per la nascita di un bambino e il dolore per la sofferenza e la perdita di una persona. Non si tratta solo di un compito professionale; Emilia in prima persona sperimenta in famiglia la pienezza della gioia del quotidiano, ma anche l’abisso del dolore che spezza la vita per la morte nel 1992 del figlio Ruben.

L’incontro con padre Angelo Cupini avviene nel 2001. La collaborazione con l’Associazione Comunità di via Gaggio rappresenta per Emilia una specie di “nuovo inizio”, l’opportunità che le permette di guardare avanti. Partecipa attivamente fin dalla fase dell’ideazione/progettazione della “Casa sul pozzo”, affidata all’arch. Antonio Spreafico. Emilia intuisce subito le potenzialità di questa nuova esperienza per il territorio e decide di investire insieme ad altri il suo tempo e le sue energie per far diventare la Casa quello che è oggi: un ambiente familiare, curato, cordiale, dove le persone si possono incontrare, conoscere e possono collaborare al bene comune. La Casa accoglie persone e gruppi per attività formative e momenti di festa; propone iniziative che favoriscono il dialogo interculturale e interreligioso accanto a percorsi di spiritualità del quotidiano. Dal 2006 presso la Casa si svolge un’attività di supporto scolastico e accompagnamento all’inserimento lavorativo di adolescenti in maggioranza immigrati. Emilia si considera “la nonna di tutti”. Ascolta, incoraggia, collabora alla gestione della Casa, cura il giardino. Nella sua vita intensa ha imparato che la bellezza della natura e dell’arte ci rende migliori e lenisce le ferite. Con immutato entusiasmo accoglie i nuovi progetti e pensa al futuro della Casa, anche se il suo cuore è affaticato. Perché ogni esperienza autentica passa attraverso il cuore. La gioia. Il dolore.

Angelo Cupini