Lettera familiare della Casa sul Pozzo 66

31 agosto 2020

Care Amiche ed Amici,

un saluto cordiale e un augurio per questo tempo nuovo che si apre davanti a noi.

Questa è una lettera quasi da sommario. Abbiamo messo a disposizione in questo agosto due testi molto impegnativi: la lettera aperta ai Candidati Sindaco per le prossime elezioni nella nostra città di Lecco. È un testo che ho firmato assieme ad un altro prete (d. Mario Proserpio). Penso che tutti abbiate avuto la possibilità di leggerla.

Il testo Ri-partire: come una comunità vive la resilienza. Mentre la redazione finale è di Giuseppe Colombo, è frutto invece di una scrittura collettiva dei soci della Comunità di via Gaggio che si sono posti la domanda di come guardare avanti, dentro e il dopo corona virus. È un testo guida che ci chiederà una lettura assidua e collettiva. L’invio di questo testo lo faccio oggi assieme a questa Lettera 66.

La notizia che ci ha colpito maggiormente, per il rapporto di vita e per il debito di riconoscenza,è stata la morte di Pedro Casaldaliga, avvenuta l’8 agosto nel Mato Grosso brasiliano, a 92 anni di età. Avevamo promosso il libro di Escribano: A piedi nudi sulla terra rossa (edito dalla EMI) e le molte pubblicazioni realizzate in Italia. Un filo di stima e di affetto ci hanno legato a questo uomo minuto e resistente. Ero stato a trovarlo nel gennaio del 2008. Sono andato a rileggermi le note che avevo scritto per me.   

Mercoledì 9 gennaio.  Con un piccolo aereo – siamo in sei viaggiatori su nove posti – volo verso il Mato Grosso del sud da Brasilia. Due ore e mezzo di volo che diventano di più con due scali. Dall’alto la terra del Mato Grosso mi pare drammatica; alcuni mi diranno che dieci anni fa era foresta, poi tagliata per ottenere terra da coltivare. Arrivo alla casa di Pedro, allineata assieme alle altre lungo la strada centrale. Un abbraccio lungo e affettuoso con lui; fragile e lucido; quest’uomo, da questo spazio di mondo che si raggiunge con tanta fatica, ha sostenuto il cammino di liberazione di questi 40 anni. Hanno appena finito di pranzare (c’è un mio compagno catalano che ha insegnato teologia e che ora è superiore del Brasile e che viaggerà con me, una coppia spagnola in viaggio di nozze, un volontario che ci accompagnerà, altri) e mi siedo per consumare qualcosa velocemente perché i tempi sono stretti, meno di un’ora per ripartire. Pedro sta bene nella sua malattia, ci scherza su un po’ e mi dice: è quella dei grandi personaggi (Giovanni Paolo II, Martini, Regan), ti toglie lentamente le energie. Gli faccio da bastone pastorale (così mi dice) appoggiandosi a me e andando verso la costruzione cappella, opera di Mino, con la presenza di segni del mondo. Poi nella sua cameretta divisa dal corridoio solo da una vecchia tenda di cucina.  Ogni immagine è segno e traccia di volti, di storie. Tutto il suo privato è raccolto lì, alla vista di tutti. Registriamo un breve saluto per gli amici italiani e poi sulla soglia di casa continua a salutarci mentre la macchina ci porta all’aeroporto passando per il centro comunitario, dove tra l’altro c’è l’archivio della prelatura, il meglio organizzato del Brasile. Al rientro il volo è diretto a Brasilia senza scali; siamo solo due viaggiatori, Jaime ed io, ma ci mettono ugualmente il tappetino rosso sotto la scaletta di tre gradini.

In questo mese ci ha lasciato anche un altro uomo dal pensiero fecondo: Armido Rizzi, teologo, filosofo, biblista. Uomo della ricerca.

Oggi, otto anni fa, ci lasciava anche Carlo Maria Martini. Riprendo una nota scritta sui miei appunti di quel giorno.

Alle 15,45 muore il cardinale Carlo Maria Martini. Quando mi è arrivata la notizia della morte di Carlo Maria Martini ho avuto la percezione netta di un padre che se ne è andato. Non sono riuscito a fare altro, nemmeno a pregare. Ho pensato come stava lui ora di fronte a Dio. Ho ascoltato il racconto della sua vita nella trasmissione sul 900. Lentamente si è chiarito dentro di me il tema della paternità. Nella Turchia, ultimo viaggio realizzato, abbiamo nominato i Padri della Chiesa, che sono pensiero, gesti, riferimenti, passione per Dio e per l’umanità. Ci hanno trasmesso e aiutato a penetrare il mistero. Questo ha fatto Martini per la mia vita, questa è stata la sua paternità con me. Ora so che le nostre vite hanno avuto un padre; la traccia del suo vivere la rileggiamo in noi, per quel che possiamo e sappiamo raccogliere.

Abbiamo avuto lutti familiari (Paolo, papà di Edo e Beppe Lavelli) che ero riuscito a salutare qualche settimana prima che ci lasciasse.

La Casa sul Pozzo è rimasta sempre aperta anche se a metà mese ci sono state assenze brevi per qualche giorno di riposo.

Ora ripartiamo. Lo facciamo con un gesto che stiamo ripetendo da dieci anni, sempre trasformato: il cambioarmadio.

È un gesto di fiducia e di responsabilità. Le giovani donne che promuovono l’iniziativa con molte collaborazioni vivranno dal 4 settembre al 13 settembre un dialogo bello e proficuo con giovani mamme e papà con lo scambio di vestiti per ragazzi da 0 a 10 anni. Potete vedere un breve filmato di Carlo Limonta sul sito www.comunitagaggio.it dedicato al cambioarmadio.

In questo mese otto giovani clarettiani, provenienti da Roma, sono stati ospiti nella casa di Introzzo e hanno fatto una visita/cena anche alla casa sul pozzo. Il mondo era tutto rappresentato: India, Africa, America Latina, Europa. È certamente lo sguardo sul futuro con le sensibilità specifiche di ognuno e con lo sforzo di generare percorsi comuni.

Il prossimo settembre sarà dedicato in modo particolare all’organizzazione di crossing e alla ripresa delle attività di accoglienza.

Tutti i sabati dalla 9 alle 10 Lettura e ricerca sulla Parola della domenica seguente (rito ambrosiano). Celebrazione dell’Eucaristia tutte le domeniche alle 18.30.

Mi piace chiudere questa lettera ritornando alla figura di Pedro (ne parleremo diffusamente sul prossimo MC) con il finale di un trafiletto apparso sul Venerdì di Repubblica a firma di Filippo Di Giacomo.

Sulla sua tomba è scritto: “Per riposare io voglio solo questa croce di legno e come pioggia e sole questi tre metri di terra e la Resurrezione”. Era missionario in Amazzonia dal 1968. Paolo VI, che lo aveva nominato vescovo, lo difese strenuamente dalla dittatura militare allora al potere; Giovanni Paolo II fermò sempre la mano dei wojtylani che lo volevano colpire. Papa Francesco lo cita nella sua esortazione Querida Amazonia. Di certo, la storia della Chiesa non è quella raccontata dalla galassia web dei cattolici di professione”.

Che ora continui lui, Martini, Armido, Paolo a farci compagnia.

Angelo